La vita che scorre nelle storie di Gabriella Giandelli è soffusa di una sottile malinconia nutrita dall’altalena della vita e dalla sua inestinguinbile ricchezza sensoriale. Per questo vedere dal vivo i segni di cui sono fatte le sue tavole originali è sempre un’esperienza emozionante. Un’esperienza che con l’orgoglio e la convinzione del pioniere ci entusiasma portare ad Arezzo.
Elaborando atmosfere sempre in bilico tra il dramma, la solitudine e l’inconsolabilità di molti momenti bui, l’artista pare essere pronta ad abbinare ad ognuna di esse un ritmo lucente, argentato quanto basta perché quei racconti (spesso paralleli), si trasformino in romanzo o teatro dell’emozione. Affabulatrice per immagini, quelle della Giandelli sono rappresentazioni da trattare come contenitore narrativo che vive e respira sotto le trame accurate del disegno. Un contenitore che entra a pieno titolo nell’alveo del graphic novel nel quale proprio il ruolo svolto dalla tecnica è parte integrante di un risultato assimilabile alla letteratura classica o al romanzo. Le tecniche di realizzazione di ognuno dei suoi libri infatti, sono le più disparate, perché ogni scelta si relaziona con la storia da raccontare, fino alla sua totale fusione. Popolata di personaggi delicatamente solitari, melanconici, spesso ispirati alla realtà, che sembrano avere quella incapacità di stare al mondo che ben conosciamo, ogni storia pretende la sua tavolozza e i suoi strumenti. Alla fine, il pastello, la china o la graffiatura diventano testimoni del rapporto fisico intercorso tra l’artista e il disegno, o tra le imperfezioni della carta e gli effetti vellutati delle matite colorate graffiate a colpi di lametta. Storie con personaggi lacunosi che dimenticano o perdono sogni e memorie nei sotterranei dei loro condominii o che pur condividendo abitudini e crisi, sono del tutto incapaci di comunicarseli. Personaggi a volte fuori luogo, quasi mai eroici o vincenti; uomini fragili eppure onesti, sempre alla ricerca del proprio posto nel mondo che si muovono facendosi forti della consistenza materica donata loro dall’artista.
Eppure mi preme precisare che le storie narrate nei libri di Gabriella Giandelli hanno fortunatamente, il potere di catturarci al di là di qualsiasi informazione teorico-tecnica. Sfogliandoli, ci troviamo alla finestra delle nostre abitazioni metropolitane o periferiche, intenti a guardare le gocce di pioggia o i fiocchi di neve che scivolano sui vetri. Anche se l’artista non fa nulla per mettere in piazza le situazioni più intime e private di queste storie, la missione di ognuno di questi antieroi – di cui pure ne intuiamo i sentimenti – sembra essere una sola: rendere visibile il non detto e raccontarsi senza mai diventare stereotipi prevedibili. Pertanto noi, ancora dentro le nostre malinconiche case, assorti in riflessioni, bilanci di vita e ricerca di consolazioni non dissimili da quelle suggerite da questo o quel personaggio, scopriamo di soffrire della stessa infruttuosa ricerca di sottrarci alla difficoltà del vivere.
Se ci cattura la consistenza fisica del tessuto inserita graficamente qua e là negli spazi d’azione di questi personaggi, non è solo per testimoniare quanto ricca di dettagli e di materia possa essere una tecnica che racconta gli ambienti come entità viva, ma per imprigionarci ancora di più nel processo parallelo del racconto. In un gioco di specchi molto affascinante, il percorso dei personaggi raccontati dalla Giandelli diventa nostro e tra una pagina e l’altra attendiamo solo di vedere un coniglio bianco che attraversa le nostre pareti. L’occasione di mettere in mostra gli originali rende dunque meno breve e più incisiva la vitalità cinematografica del disegno e lo straordinario l’effetto tridimensionale dell’emozione. Quando vediamo che graficamente c’è la consistenza fisica del tessuto anche negli spazi d’azione di questi personaggi (a testimoniare quanto ricca di dettagli e di materia possa essere una tecnica che racconta gli ambienti come entità viva in grado di far procedere parallelo il racconto), ci accorgiamo di essere arrivati alla fine del fumetto.
Ecco dunque come, a nostro avviso, diventi evidente che l’occasione di mettere in mostra gli originali significa rendere meno breve, ma anzi più lenta e incisiva questa sorta di vitalità cinematografica e questo straordinario effetto tridimensionale dell’emozione.
Matilde Puleo
29 maggio – 31 luglio 2011
palazzo Chianini Vincenzi Arezzo