L’installazione site specific di Franco Menicagli si pone l’obiettivo di rendere visibile quel che resta di un oggetto mutilato da un trascorso violento o da un’azione disgregante. La mutilazione provoca moltiplicazione ed esplosione di frammenti che si manifestano inizialmente come parte di un tutto potenzialmente ricostruibile in un secondo momento. L’opera testimonia la forza dell’indizio suscitando nell’osservatore la necessità di rinforzare le capacità discriminatorie e quelle relative alla scelta. È costituita da ciò che resta di una sedia, di un tavolo o di un mobile ormai non più visibili, eppure presenti e in certa misura perfino inequivocabili. Questo tutto unitario, indifferenziato e invasivo occupa così tutto lo spazio a disposizione, ingombrandolo di informazioni complesse e di interrogativi inadeguati o fuorvianti. Ne risulta uno spazio dilatato, espanso e sempre in procinto di esplodere grazie alla moltitudine di assicelle di legno addomesticate e fissate con delle fascette di plastica. Indizi di arredamenti che avrebbero dovuto cercarsi altri contesti e segnali di vita che invadono uno spazio improprio. Spia di una nave mossa dalla perentoria necessità di spingere dentro tutta se stessa, l’installazione racconta come gli oggetti germoglino, si incarniscono, si incagliano e si spezzino alla ricerca dei loro limiti estremi. Una vera e propria conquista dello spazio condotta tramite soluzioni estreme che portano il legno, al limite delle sue capacità di flessione. Tutto ciò che occupa la visuale viene messo sotto sforzo per trasmettere un equilibrio instabile scaturito da rapporti di tensione estremamente precari. Equilibri che ovviamente potrebbero saltare da un momento all’altro.
19 APRILE///07 giugno 2008
MEGA+MEGA –centro d’arte contemporanea
Via Cesalpino 2 Arezzo
incontro col pubblico, presso sala Conferenze
della Galleria Comunale d’arte Contemporanea
Piazza S. Francesco, 4 Arezzo
FINCHÉ C’È SPAZIO C’È SPERANZA
Il frammento si sviluppa per innesti, si espande ignorando il proprio passato, muta di ruolo, sposta il baricentro, cede a tentazioni asimmetriche, violenta i suoi limiti. E’ quel che resta di un oggetto mutilato da un trascorso violento o un’azione disgregante e si manifesta inizialmente come parte di un tutto potenzialmente ricostruibile attraverso indizi formali. Una spalliera di metallo e una gamba di legno, potrebbero suggerire un recupero analogico, una possibile operazione di ricostruzione, una restituzione dell’oggetto originario, procedimenti che caratterizzano però più l’attività di un restauratore che quella di un artista. Franco Menicagli sceglie accuratamente i frammenti sui quali intervenire, li pondera e cerca di instaurare con essi un rapporto empatico, li addita come segni, fatti, situazioni, sicuramente definibili nella loro molteplicità come indizi, non in quanto utili a ricostruire un qualcosa che è stato, ma perché atti a comprendere le possibilità inespresse dell’oggetto del quale facevano parte. Menicagli cerca di restituire dignità d’insieme a una parte di esso pur senza riconoscergli storia e provenienza ed evita di interessarsi al suo passato; ne riformula le caratteristiche formali servendosi di uno sguardo visionario; lo rende indipendente da definizioni linguistiche, vecchi significanti e ruoli archetipi per consentirgli di liberare energie e tensioni nuove. Così gli oggetti germogliano, sviluppano, ma anche si incarniscono, si incagliano e a volte capita anche che si spezzino alla ricerca dei loro limiti estremi nella conquista dello spazio. Ritrovamenti, intese visive e incontri rappresentano i primi passi per accogliere quello che resta di una sedia, di un tavolo, di un mobile ed espanderlo usando assicelle di legno addomesticate e fissate con delle fascette di plastica. Il processo di invenzione formale è fortemente connesso a un procedere manuale, che avviene in condizioni quasi pre razionali, dove la riflessione lascia posto all’intuizione esaltando il potere del gesto. Sono suggerimenti spaziali che si legano l’uno all’altro in quanto dipendono ognuno dalla scelta effettuata in precedenza, intuizioni lineari che sottendono costruzioni ambiziose, soluzioni estreme dove il legno, portato al limite delle sue capacità di flessione, viene messo sotto sforzo. Lontane dall’essere rilassanti, le composizioni trasmettono un equilibrio instabile scaturito da rapporti di tensione estremamente precari che potrebbero saltare da un momento all’altro. I frammenti di uno stesso oggetto o di oggetti diversi arrivano a dialogare tra loro attraverso percorsi imprevisti non contemplati da chi li ha concepiti per la loro originaria funzione. L’artista riesce così, in assenza di un disegno progettuale predefinito, a individuare volumi inediti che suggeriscono possibilità di infinite forme. Questo farsi in corso d’opera determina l’aspetto non prevedibile dell’esito del lavoro che ha ormai abbandonato un precedente stato protesico, dove le stecche di legno componevano impalcature allo scopo di definire i confini degli oggetti con una funzione quasi di sostegno, pur lasciando trasparire sviluppi futuri diversi e imprevedibili. Dalla più pesante gabbia Menicagli è adesso passato a tracciare contorni con legni dolci e flessibili bloccati dalle fascette, il cui uso immediato e veloce permette di improvvisare meglio il lavoro e di porre l’accento sulla componente gestuale del fare. Un’evoluzione che ha permesso di alleggerire i volumi e sottrarre i frammenti di partenza a una tutela assistenziale e protettiva da parte della struttura. I lavori, adesso, una volta fissata l’ultima fascetta sono autonomi e liberi di decidere della loro resistenza o rottura, l’artista cessa di farsene carico, li consegna alla storia dell’arte e si può dedicare alla ricerca di altri indizi.
Francesco Marmorini